Da Baronissi a Bonito: l’arte è un buon “Piano B”, anche per Avellino
Partire da due esempi di come la street art può ridare ai nostri un senso nuovo, bellissimo e compatibile con le più grandi sfide della modernità
Un tempo una giornalista avellinese mi disse: «Fare questo mestiere rende inevitabilmente più cinici».
È vero, ti spinge a non fermarti alle impressioni dell’hic et nunc, ma a chiederti sempre, inevitabilmente: cosa resta alla fine? E a parlare degli eventi estivi, la risposta era spesso difficile, se non nulla: si vive (forse giustamente) anno per anno, senza pensare all’oltre, senza piani globali, investimenti a lungo termine. Se arrivano problemi si affrontano, non si prevengono e, “passato lo santo, passata la festa”.
O almeno così credevo fino a poco tempo fa, quando, per puro caso, in una notte di gennaio al centro di Baronissi, scopro metri e metri di murales, uno più bello dell’altro, a sfondo marino: pirati, kraken, pappagalli, navi, sirene a perdita d’occhio per uno spettacolo che ben si uniformava allo skyline e al panorama circostante. Faccio un po’ di ricerche e scopro che fanno parte di una manifestazione che ormai da anni coinvolge il piccolo comune salernitano, l’“Overline Jam”: qual è la sorpresa? Che l’evento è a luglio e io queste opere d’arte le ho viste a gennaio. Da quasi un decennio i ragazzi dell’Overline, ora costituitisi in associazione, creano tre giorni di evento lungo un anno, facendo in modo che delle ex-mura spoglie diventino un vernissage a cielo aperto permanente. Ogni anno un nuovo tema (stavolta il far west), ogni anno successi, condivisioni, progetti, strategie sempre maggiori.
Com’è possibile? Non solo perché loro sono davvero validi, ma soprattutto perché il murales si presta moltissimo a rimanere: non soffre degrado, non soffre incuria, non soffre il maltempo, non teme il fuoco. Può essere vandalizzato, quello sì, ma mai dimenticato, ed è tra le forme d’arte, una di quelle più versatili.
Per fortuna qualcuno lo ha capito anche qui e da qualche anno il collettivo Boca (sigla di “Bonito Contest Art”) sceglie il murales come metodo di intervento per la riqualificazione artistica di alcune parti di Bonito e veicolo di messaggi legati al territorio. Ha fatto molto scalpore, poco tempo fa, l’uomo “trivellato” di Nemo’s che funge da monito ai cittadini per ribellarsi alla possibile distruzione della provincia a causa del petrolio. Questo stesso spirito, civile ed estetico insieme, li spinge, in collaborazione con l’associazione “Piano B” ad agire ad Avellino per la prima volta, con lo street artist Millo che, dal 3 al 7 agosto, riqualificherà la palazzina dei Ferrovieri nel difficile contesto della stazione ferroviaria di Avellino, anche grazie ai permessi delle Ferrovie dello Stato, a cui appartiene il luogo prescelto. Corollario, ma non da poco, è che questo sarà il primo di una serie di interventi, costellati da piccoli eventi che aumenteranno la fruizione della città durante la creazione dell’opera d’arte stessa (il programma completo sarà reso noto a breve).
A vederli bene, Overline e Boca non hanno nelle loro visioni nulla in comune a parte il mezzo: da una parte, a Baronissi, abbiamo un continuum spaziale di intraprendenza e libertà che si estende in lunghezza per arricchire un centro, una specie di abbraccio infinito, polifunzionale col fine ultimo di creare proprio un quartiere dedicato alla cultura “di strada”; dall’altra abbiamo singoli interventi, spesso in altezza, per la riqualificazione delle periferie, un messaggio sociale e contestuale sempre presente, opere permanenti di salvezza e di speranza il cui scopo è legato a doppio fine alla scelta dell’artista. Il modo di rappresentare, nel Boca, è completamente libero, ma il messaggio non può essere ignorato; più versatile l’Overline, dove il tema annuale lascia come unico vincolo il colore comune del muro di lavoro (quest’anno l’arancione dei deserti del west).
Ciò che li rende identici, però, è tutto nei procedimenti: la qualità senza compromessi delle scelte, che rendono quei 60 chilometri tra Baronissi e Bonito la più qualificata realtà italiana della street art dopo lo stradedarts a Milano, la perfezione legislativa dove non c’è nulla di lasciato al caso a livello di permessi, la progressività degli interventi, la mappatura più o meno evidente, ma soprattutto, il senso che lasciano.
Indubbiamente avere come marchio di fabbrica artisti dal curriculum clamoroso scelti dopo valutazioni attentissime non può che aiutare, certo, ma far tornare alla vita, per tramite dell’arte, spazi prima deserti, degradati e spogli lascia in chi li vede un senso di positiva sorpresa. È un’opera pubblica, destinata a durare, e che migliora la qualità della vita, come ad Avellino è già successo (basti pensare alle mura della zona dello stadio). Cosa resta, quindi, alla fine? Qualcuno che non smette mai di crederci, e che riesce a non smettere mai di dimostrarlo.
di Francesco Picariello